Tra i tanti neologismi che oggi pervadono nel campo dell’architettura, quello di “paesaggio urbano” è sicuramente tra i più utilizzati. Esso, sebbene chiaramente afferente ad una dimensione di carattere figurativo-percettiva della città, ad una sfera di giudizi condizionati dai continui rimandi al dato sensibile e sensoriale del termine paesaggio, di fatto non può trascendere da questioni di natura compositiva inerenti la struttura formale dei tessuti urbani. Ciò significa che la comprensione di un paesaggio urbano andrebbe perseguita attraverso il tramite di un arnheimiano “pensiero visuale”. Ossia per mezzo di categorie cognitive in grado di generare un racconto critico-sintetico finalizzato alla ricerca di una idea regolatrice e vettrice utile a rivelare, delle singole esperienze “architetturali”, una ragione urbana intenzionale, di natura strutturale-compositiva nonché spaziale. Una delle “ordinate estetiche” attraverso le quali risulta possibile cogliere il senso profondo del paesaggio urbano in cui si colloca l’edificio della Caserma Macchi si identificarsi nel concetto di “margine”. Una nozione che consente di allargare la riflessione, in senso lato, sul tema del progetto di composizione di un “bordo” urbano. Un luogo, quest’ultimo, dove all’esperienza del progetto urbano è richiesta la capacità di destreggiarsi tra il tentativo di stabilizzare il disegno della forma urbana sui cui contorni si interviene, e, il riuscire a stabilire nuove relazioni con ciò che si pone al di fuori, nell’immediata prossimità. Nel caso specifico della Caserma Macchi (e degli altri edifici più o meno coevi così come ipotizzati dal piano redatto dall’ing. Arrigo Veccia tra il 1905 e il 1926), l’esperienza del progetto del margine, in quanto costruzione del “fronte mare” della città, è diventata per l’architettura del ventennio barese l’occasione per sancire il rapporto tra la città e la linea del mare, tra la dimensione costruita della terra e la dimensione sconfinata dell’acqua. Un tipo di “paesaggio urbano di margine” qualificato dal carattere mediterraneo, stereotomico e variegato delle architetture che lo identificano e lo delimitano, al punto da renderlo chiaramente riconducibile ad un “paesaggio di soglia”: un vero e proprio ambito urbano a sviluppo lineare, connotato da una forte identità architettonico-culturale, interposto tra la città compatta e il mare.
Il “margine” come ordinata estetica di un edificio urbano. La Caserma “G. Macchi” / Scardigno, Nicola - In: La Caserma “Giovanni Macchi” di Bari. Dall’architettura alla storia del complesso edilizio, sede del Comando Regionale Puglia della Guardia di finanza di Bari / [a cura di] Loredana Ficarelli, Maurizio Favia, Matteo Ieva. - STAMPA. - Roma : Centro Tipografico Fiamme Gialle – Roma, 2022. - ISBN 979-12-210-1345-0. - pp. 43-46
Il “margine” come ordinata estetica di un edificio urbano. La Caserma “G. Macchi”
Nicola Scardigno
2022-01-01
Abstract
Tra i tanti neologismi che oggi pervadono nel campo dell’architettura, quello di “paesaggio urbano” è sicuramente tra i più utilizzati. Esso, sebbene chiaramente afferente ad una dimensione di carattere figurativo-percettiva della città, ad una sfera di giudizi condizionati dai continui rimandi al dato sensibile e sensoriale del termine paesaggio, di fatto non può trascendere da questioni di natura compositiva inerenti la struttura formale dei tessuti urbani. Ciò significa che la comprensione di un paesaggio urbano andrebbe perseguita attraverso il tramite di un arnheimiano “pensiero visuale”. Ossia per mezzo di categorie cognitive in grado di generare un racconto critico-sintetico finalizzato alla ricerca di una idea regolatrice e vettrice utile a rivelare, delle singole esperienze “architetturali”, una ragione urbana intenzionale, di natura strutturale-compositiva nonché spaziale. Una delle “ordinate estetiche” attraverso le quali risulta possibile cogliere il senso profondo del paesaggio urbano in cui si colloca l’edificio della Caserma Macchi si identificarsi nel concetto di “margine”. Una nozione che consente di allargare la riflessione, in senso lato, sul tema del progetto di composizione di un “bordo” urbano. Un luogo, quest’ultimo, dove all’esperienza del progetto urbano è richiesta la capacità di destreggiarsi tra il tentativo di stabilizzare il disegno della forma urbana sui cui contorni si interviene, e, il riuscire a stabilire nuove relazioni con ciò che si pone al di fuori, nell’immediata prossimità. Nel caso specifico della Caserma Macchi (e degli altri edifici più o meno coevi così come ipotizzati dal piano redatto dall’ing. Arrigo Veccia tra il 1905 e il 1926), l’esperienza del progetto del margine, in quanto costruzione del “fronte mare” della città, è diventata per l’architettura del ventennio barese l’occasione per sancire il rapporto tra la città e la linea del mare, tra la dimensione costruita della terra e la dimensione sconfinata dell’acqua. Un tipo di “paesaggio urbano di margine” qualificato dal carattere mediterraneo, stereotomico e variegato delle architetture che lo identificano e lo delimitano, al punto da renderlo chiaramente riconducibile ad un “paesaggio di soglia”: un vero e proprio ambito urbano a sviluppo lineare, connotato da una forte identità architettonico-culturale, interposto tra la città compatta e il mare.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.