Nell’architettura antica in pietra, i problemi legati al trasporto dei grandi monoliti dalla cava al cantiere e, durante la posa in opera, il loro sollevamento, suggerivano di lasciare i blocchi non finiti, in modo da creare una ‘superficie di sacrificio’ protettiva, l’àpergon, da rimuovere in fase di finitura. La sua eliminazione era tra le ultime operazioni del cantiere, come attestano diversi casi in cui, per motivi diversi, l’opera non fu portata a compimento. La ricerca moderna ha ipotizzato che in molti casi il ‘non finito’ sia intenzionale. Infatti, con il tempo, specie a partire dal IV sec. a.C., questa superficie grezza iniziò ad assumere una valenza estetica a sé, generando una serie di dettagli coloristici - come bugnati rustici e superfici aggettanti rispetto a piani a sottosquadro -, spia di un vero e proprio fenomeno di gusto che in l’età ellenistica si intreccerà con il gusto alessandrino per le grotte artificiali e i paesaggi ‘costruiti’, generando quella tendenza barocca dell’architettura a voler dare l’impressione di sorgere dalla roccia viva, in una sorta di naturalismo che si rintraccia ancora nell’architettura della prima età imperiale. Il contributo, enucleando alcuni casi studio nella Kos ellenistica, si propone di illustrare alcune declinazioni delle trasformazioni dell’àpergon da semplice espediente di cantiere (la tecnica) a dettaglio estetico (la forma), evidenziandone anche la valenza simbolica.
Dal naturale all’artificialmente naturale: le trasformazioni dell’àpergon / Livadiotti, Monica. - In: QUAD. - ISSN 2611-4437. - ELETTRONICO. - 5:(2022), pp. 11-32.
Dal naturale all’artificialmente naturale: le trasformazioni dell’àpergon
Livadiotti
2022-01-01
Abstract
Nell’architettura antica in pietra, i problemi legati al trasporto dei grandi monoliti dalla cava al cantiere e, durante la posa in opera, il loro sollevamento, suggerivano di lasciare i blocchi non finiti, in modo da creare una ‘superficie di sacrificio’ protettiva, l’àpergon, da rimuovere in fase di finitura. La sua eliminazione era tra le ultime operazioni del cantiere, come attestano diversi casi in cui, per motivi diversi, l’opera non fu portata a compimento. La ricerca moderna ha ipotizzato che in molti casi il ‘non finito’ sia intenzionale. Infatti, con il tempo, specie a partire dal IV sec. a.C., questa superficie grezza iniziò ad assumere una valenza estetica a sé, generando una serie di dettagli coloristici - come bugnati rustici e superfici aggettanti rispetto a piani a sottosquadro -, spia di un vero e proprio fenomeno di gusto che in l’età ellenistica si intreccerà con il gusto alessandrino per le grotte artificiali e i paesaggi ‘costruiti’, generando quella tendenza barocca dell’architettura a voler dare l’impressione di sorgere dalla roccia viva, in una sorta di naturalismo che si rintraccia ancora nell’architettura della prima età imperiale. Il contributo, enucleando alcuni casi studio nella Kos ellenistica, si propone di illustrare alcune declinazioni delle trasformazioni dell’àpergon da semplice espediente di cantiere (la tecnica) a dettaglio estetico (la forma), evidenziandone anche la valenza simbolica.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.