La finzione scenica, con particolare riguardo all’interno architettonico, ci consente di accedere laddove l’architettura può solo simulare la propria possibilità di veduta, attraverso la convenzione del disegno in sezione. In teatro, invece, scoperchiando la cosiddetta “quarta parete”, entriamo concretamente, osservatori intrusivi e privilegiati allo stesso tempo, sin dove all’architettura non è consentito con questa stessa immediatezza. Ed ecco dischiudersi, secondo un’inedita angolazione, la stanza. Abattuta la barriera visiva che si frappone, origina una straordinaria rappresentazione: finta, in quanto simulazione e imitazione della realtà, ma anche vera, in quanto dichiaratamente finta. Grazie a questa simulazione, che ci avvince in processi catartici, possiamo vedere visualizzata la vita umana, colta nei suoi momenti interni, interiori e intimi: miserie, affanni, speranze, paure, esorcismi, invidie, vendette, affetti, morale e anti-morale. Ma soprattutto, possiamo vedere come oltre a tutti i requisiti tecnologici, ergonomici e funzionalistici, la stanza diventi un tabernacolo, custode di tutti i valori simbolici che ruotano intorno alla vita umana, un ostensorio in grado di evocare visioni al di là del mondo strettamente fisico. La “casa a soffietto”, citazione presa a prestito dalla letteratura teatrale, è dunque un dispositivo tecnico, ma anche evocativo, pronta a restituire - ogni volta che la si “aprirà” - il flusso emotivo ad essa inevitabilmente connaturato.
Una casa a soffietto. La rappresentazione dell'interno architettonico nella scenografia teatrale / Centineo, Santi. - STAMPA. - (2025).
Una casa a soffietto. La rappresentazione dell'interno architettonico nella scenografia teatrale
Santi Centineo
2025
Abstract
La finzione scenica, con particolare riguardo all’interno architettonico, ci consente di accedere laddove l’architettura può solo simulare la propria possibilità di veduta, attraverso la convenzione del disegno in sezione. In teatro, invece, scoperchiando la cosiddetta “quarta parete”, entriamo concretamente, osservatori intrusivi e privilegiati allo stesso tempo, sin dove all’architettura non è consentito con questa stessa immediatezza. Ed ecco dischiudersi, secondo un’inedita angolazione, la stanza. Abattuta la barriera visiva che si frappone, origina una straordinaria rappresentazione: finta, in quanto simulazione e imitazione della realtà, ma anche vera, in quanto dichiaratamente finta. Grazie a questa simulazione, che ci avvince in processi catartici, possiamo vedere visualizzata la vita umana, colta nei suoi momenti interni, interiori e intimi: miserie, affanni, speranze, paure, esorcismi, invidie, vendette, affetti, morale e anti-morale. Ma soprattutto, possiamo vedere come oltre a tutti i requisiti tecnologici, ergonomici e funzionalistici, la stanza diventi un tabernacolo, custode di tutti i valori simbolici che ruotano intorno alla vita umana, un ostensorio in grado di evocare visioni al di là del mondo strettamente fisico. La “casa a soffietto”, citazione presa a prestito dalla letteratura teatrale, è dunque un dispositivo tecnico, ma anche evocativo, pronta a restituire - ogni volta che la si “aprirà” - il flusso emotivo ad essa inevitabilmente connaturato.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.

