Nel rispetto delle direttive europee, un moderno sistema integrato di gestione dei rifiuti è concepito per intercettare già in fase di raccolta i Rub (Rifiuti urbani biodegradabili), al fine di valorizzarli, per la gran parte, attraverso il recupero di materia per la produzione di ammendanti di qualità, sottraendoli ai circuiti di smaltimento dove, se non correttamente gestiti, sarebbero in grado di esercitare nel tempo il maggiore impatto sull’ambiente. In Italia, in particolare nelle regioni meridionali, l’aliquota di tale frazione che sfugge alla raccolta differenziata non può essere ritenuta trascurabile, meritando, dunque, particolare attenzione nella gestione della fase di smaltimento. È ormai diffusa [Cossu 2003; Stegmann 2005], infatti, la consapevolezza che i sistemi per il contenimento delle emissioni, stistemi attualmente in uso nelle discariche controllate (c.d. dry tomb landfill) secondo quanto previsto dalla normativa vigente, producano soltanto un prolungamento dei tempi di impatto. Inoltre, è noto che, al termine del periodo di postesercizio (30 anni dopo la chiusura definitiva dell’impianto, cfr. immagine seguente), per un periodo non facilmente quantificabile, la pericolosità dei rifiuti resti quasi immutata: il sito, dunque, può risultare ancora a rischio così da provocare un impatto ambientale fin troppo elevato per essere considerato tollerabile. Questo lasso di tempo indeterminato, successivo al post-esercizio, sarebbe, inoltre, quello a più bassa efficienza dei sistemi per il contenimento delle emissioni inquinanti: l’integrità delle barriere geosintetiche, l’efficienza della rete drenante e di estrazione del percolato e del biogas, infatti, potrebbero iniziare a diminuire, provocando conseguentemente un aumento del rischio ambientale associato a emissioni incontrollate di contaminante. In questa fase i costi per i presidi ambientali o per eventuali interventi di risanamento non sarebbero più coperti dalla tariffa versata per lo smaltimento (questa, infatti, copre soltanto i costi di allestimento, esercizio e post-esercizio), ma sarebbero evidentemente a carico della collettività. Una gestione sostenibile della frazione organica biodegradabile dei rifiuti solidi urbani non può non porsi l’obiettivo di ridurre la pericolosità dei rifiuti residuali prima dello smaltimento in discarica, dove può essere opportuno attuare protocolli gestionali finalizzati ad accelerare la completa stabilizzazione dei rifiuti, raggiungendo livelli accettabili di impatto ambientale in tempi brevi e certi.
Azioni per la riduzione dell’impatto ambientale dello smaltimento di rifiuti urbani biodegradabili residuali in discarica / Mancini, Ignazio M.; Piscitelli, Massimiliano; Ranieri, Ezio - In: Trattamenti e smaltimento dei rifiuti urbani e dei fanghi di depurazione / [a cura di] Ezio Ranieri, Piero Sirini. - STAMPA. - Milano : McGraw-Hill, 2010. - ISBN 978-88-386-6245-4. - pp. 153-171
Azioni per la riduzione dell’impatto ambientale dello smaltimento di rifiuti urbani biodegradabili residuali in discarica
Ezio Ranieri
2010-01-01
Abstract
Nel rispetto delle direttive europee, un moderno sistema integrato di gestione dei rifiuti è concepito per intercettare già in fase di raccolta i Rub (Rifiuti urbani biodegradabili), al fine di valorizzarli, per la gran parte, attraverso il recupero di materia per la produzione di ammendanti di qualità, sottraendoli ai circuiti di smaltimento dove, se non correttamente gestiti, sarebbero in grado di esercitare nel tempo il maggiore impatto sull’ambiente. In Italia, in particolare nelle regioni meridionali, l’aliquota di tale frazione che sfugge alla raccolta differenziata non può essere ritenuta trascurabile, meritando, dunque, particolare attenzione nella gestione della fase di smaltimento. È ormai diffusa [Cossu 2003; Stegmann 2005], infatti, la consapevolezza che i sistemi per il contenimento delle emissioni, stistemi attualmente in uso nelle discariche controllate (c.d. dry tomb landfill) secondo quanto previsto dalla normativa vigente, producano soltanto un prolungamento dei tempi di impatto. Inoltre, è noto che, al termine del periodo di postesercizio (30 anni dopo la chiusura definitiva dell’impianto, cfr. immagine seguente), per un periodo non facilmente quantificabile, la pericolosità dei rifiuti resti quasi immutata: il sito, dunque, può risultare ancora a rischio così da provocare un impatto ambientale fin troppo elevato per essere considerato tollerabile. Questo lasso di tempo indeterminato, successivo al post-esercizio, sarebbe, inoltre, quello a più bassa efficienza dei sistemi per il contenimento delle emissioni inquinanti: l’integrità delle barriere geosintetiche, l’efficienza della rete drenante e di estrazione del percolato e del biogas, infatti, potrebbero iniziare a diminuire, provocando conseguentemente un aumento del rischio ambientale associato a emissioni incontrollate di contaminante. In questa fase i costi per i presidi ambientali o per eventuali interventi di risanamento non sarebbero più coperti dalla tariffa versata per lo smaltimento (questa, infatti, copre soltanto i costi di allestimento, esercizio e post-esercizio), ma sarebbero evidentemente a carico della collettività. Una gestione sostenibile della frazione organica biodegradabile dei rifiuti solidi urbani non può non porsi l’obiettivo di ridurre la pericolosità dei rifiuti residuali prima dello smaltimento in discarica, dove può essere opportuno attuare protocolli gestionali finalizzati ad accelerare la completa stabilizzazione dei rifiuti, raggiungendo livelli accettabili di impatto ambientale in tempi brevi e certi.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.